L’Isola di Pasqua, ovvero Rapa Nui (“grande roccia) in lingua nativa, è un’isola al largo dell’Oceano Pacifico, appartenente allo stato del Cile. È tra le isole abitate più remote del mondo e da secoli affascina per la sua storia e per la presenza di enormi monoliti scolpiti, detti Moai.
Il suo nome, Isola di Pasqua, o Isla de Pascua in spagnolo, deriva semplicemente dal giorno in cui venne scoperta dall’esploratore olandese Jacob Roggeveen, ovvero la domenica di Pasqua del 1722 (il 5 Aprile). Al di là del suo nome, la storia di quest’isola è tutt’ora ricca di lacune e di avvenimenti a cui dare una giusta interpretazione.
Diversi studiosi hanno ipotizzato che le popolazioni indigene potessero essersi stanziate in due diverse ondate, la prima tra il 900 d.C. ed il 1100 e la seconda tra il 1100 e il 1600, provenienti dalla Polinesia e dal Sud America. La posizione dell’isola, pur essendo remota rispetto alla terraferma, sarebbe stata raggiunta grazie a semplici imbarcazioni della tradizione polinesiana, così come ebbe modo di dimostrare l’esploratore norvegese Thor Heyerdahl nel 1947.
Dalle indagini effettuate, inizialmente l’isola si presentava ricoperta da foreste di palme, fitte e rigogliose per via del terreno molto fertile, grazie alla presenza dei tre vulcani oggi spenti. La crescita della popolazione, la richiesta di nuove risorse e le diverse impellenti necessità, causarono un continuo sfruttamento dell’isola, con un conseguente inaridimento delle terre e la quasi totale scomparsa della foresta. Tutto ciò provocò un malcontento generale, anche nei confronti del Continente, dove ormai i rapporti andavano peggiorando, fino allo scoppio di guerre civili che affossarono ancor più gli equilibri degli isolani.
Già durante il primo sbarco da parte degli occidentali, nel 1722, ad opera di Roggeveen, la popolazione era decimata, le risorse quasi inesistenti, le foreste pressoché nulle, come anche la fauna autoctona. Dopo anni di disinteresse da parte della corona spagnola, il 14 Marzo 1774 l’esploratore e cartografo britannico James Cook sbarcò sull’Isola di Pasqua e, potendovi restare soli due giorni, ne appuntò tutte le informazioni possibili nel suo diario di viaggio e ne abbozzò i contorni in quella che divenne la prima mappa ufficiale.
Tra gli schizzi riportati, erano presenti anche i celebri Moai, i colossi di pietra che da secoli proteggono l’isola. Questi monoliti in tufo vulcanico, dal caratteristico colore nero, vanno dagli esemplari più tozzi alti 2,5 metri fino ai 10, per un peso che oscilla dalle 70 alle 80 tonnellate. Molte di queste presentano una sorta di cappello, forse un copricapo tradizionale, di colore rossastro, di cui solo uno “vedente”, ovvero con occhi in corallo bianco e pupilla in ossidiana. Questo Moai è l’unico con questa caratteristica, difatti è stato restaurato affinché le applicazioni non si stacchino dall’orbita e mostrino come questi apparissero ai polinesiani.
Negli anni sono state contate circa 1000 sculture, tra cui una che sarebbe svettata fra tutte con i suoi 21 metri d’altezza, che però risulta incompleta. La pietra in cui furono realizzati sono dei monoblocchi provenienti dal cratere del vulcano Rano Raraku , dove tutt’ora si trovano 400 sculture ancora abbozzate, probabilmente abbandonate negli anni di maggiore crisi sociale.
Secondo le diverse interpretazioni, i Moai più alti, quelli rivolti verso l’interno dell’isola, rappresenterebbero delle divinità portatrici di benessere e prosperità, protettori della terra e dei suoi abitanti. Mentre, per quanto riguarda quelli più bassi, dalle dimensioni più tozze, potrebbero rappresentare gli avi dei polinesiani, ovvero i capi tribù defunti che con il loro spirito avrebbero protetto l’isola.
Il lavoro per realizzare questi colossi avrà certamente richiesto uno sforzo notevole, visti soprattutto gli strumenti rudimentali utilizzati, ma altrettante difficoltà avranno incontrato nel trasporto degli stessi. Al giorno d’oggi spostare un monolite di quelle dimensioni richiederebbe mezzi adeguati, pertanto a quel tempo le difficoltà saranno state certamente triplicate. Non si sa con esattezza come i polinesiani abbiano spostato questi colossi, ma quasi sicuramente avrà richiesto l’utilizzo di rulli in legno per permettere ai Moai di scivolare dalla cava al destinazione finale. Anche questa potrebbe essere stata una delle cause del drammatico disboscamento dell’isola, ovvero il continuo utilizzo di materie prime.
Come si credeva fino al secolo scorso, i Moai non sono come appaiono, bensì hanno anche un torso cilindrico fino a poco sotto l’ombelico, con braccia stilizzate lungo il busto ed un accenno di indumento a coprire le parti intime. Alcuni di essi presentano sulla schiena dei simboli graffiti sulla roccia, probabilmente una scrittura primordiale legata alla lingua nativa, detta Rongorongo. Queste incisioni raffigurano diversi omini, delle onde, una sorta di canoa o uno spicchio di Luna, dei pesci ed altre figure ancora da decifrare, come anche l’esatto significato di questa scrittura.
Il clima, i lievi smottamenti, il forte vento e l’incuria, nel tempo hanno ricoperto con il terreno buona parte di queste sculture, facendo credere che di queste esistesse unicamente il testone allungato, dai lineamenti marcati ed austeri.
Ulteriori scavi e le relative indagini hanno permesso di rinvenire delle rocce con incisioni riconducibili ad un culto differente da quello dei Moai, ovvero quello per “l’uomo uccello”. Questa figura antropomorfa, metà uomo e metà uccello, avrebbe soppiantato l’antica religione dal 1500 d.C. in poi. Probabilmente il cambio radicale del culto locale, influenzato da religioni provenienti dal continente ed accentuato dal malcontento generale, potrebbero spiegare l’abbandono dei circa 400 Moai abbozzati lungo le pareti del cratere-cava.
Le domande sono ancora numerose e i dubbi spingono gli archeologi a volerne sapere di più sulle enigmatiche tribù che abitavano l’isola. Tra i punti certi della loro storia vi è quella legata allo spopolamento della stessa, causata, non solo dagli scontri interni, ma anche dalle malattie importate dagli occidentali. Si è stimato, infatti, che l’Isola di Pasqua potesse contare circa 15.000 abitanti nel XVI secolo, per poi ridursi a 2.500 dopo il primo sbarco e a 111 nel sondaggio demografico del 1877.
Successivamente, grazie al ritorno del benessere, a seguito degli scambi commerciali e dello sviluppo turistico, il livello demografico iniziò ad aumentare e dal 2002 si potevano contare circa 3.800 abitanti su una superficie di 164 km2 , fino ai 5.760 nel 2012.