Il Ghetto ebraico di Roma: visitare uno spaccato di storia italiana

Il Ghetto ebraico di Roma è una delle bellezze della Capitale: un ampio quartiere della città in cui convivono le tracce dell’antica storia romana e le drammatiche vicende che hanno reso protagonista la comunità ebraica nel corso dei secoli, fino ai giorni nostri.

Ghetto ebraico di Roma dal Teatro Marcello
Ghetto ebraico di Roma dal Teatro Marcello, foto di Giuseppe Moscato, tratta da turistadimestiere.com

Il Ghetto ebraico di Roma venne ufficialmente istituito nel luglio 1555 per volere di Papa Paolo IV, in un luogo dove, storicamente, la comunità ebraica risiedeva, separandola dal resto della popolazione. Questo è il secondo ghetto più antico del mondo, dopo quello di Venezia, costruito 40 anni prima, e si colloca a Rione Sant’Angelo, proprio di fronte l’Isola Tiberina, fino al Teatro Marcello, su una superficie di circa 3 ettari.

Cenni di storia

Da secoli, la realtà ebraica, relegata a minoranza in moltissime aree urbane, ha sempre vissuto in quartieri chiamati giudecche. La netta differenza tra “giudecca” e “ghetto” è sostanziale, ovvero: nel primo caso si tratta di un’area residenziale scaturita da una scelta volontaria della comunità, mentre nel secondo caso si parla di domicilio coatto, cioè un confino forzato entro il perimetro dello stesso.

Ogni giorno, all’alba ed al tramonto, due grandi portoni d’ingresso venivano aperti e serrati per permettere ai residenti del ghetto di circolare liberamente per la città. Con l’aumento della popolazione, le porte divennero addirittura otto, in proporzione all’ampliamento del terreno necessario. Questo comportò un adattamento architettonico, ovvero, vista la densità demografica, le abitazioni vennero ampliate in altezza. I piani superiori raddoppiarono e vennero collegati con quelli confinanti attraverso ponticelli e passaggi semi-nascosti, utilizzati anche in caso di fuga.

Ettore Roesler Franz - Via Rua nel Ghetto
Ettore Roesler Franz – Via Rua nel Ghetto, su ettoreroeslerfranz.com

Inoltre, Papa Paolo IV vietò ai residenti di svolgere commerci di alcun tipo, fatta eccezione per la compravendita di abiti usati, stracci, anticaglie (rigattieri) e pesce fresco, nonché di possedere beni immobili. Così la popolazione iniziò ad accumulare beni preziosi di facile scambio, come oro e gioielli, rendendo, di fatto, la comunità ebraica un ceto benestante, capace anche di concedere dei prestiti.

Di contro, non potendo possedere le proprie abitazioni, la cura verso i caseggiati era pressoché nulla e le condizioni igieniche risultavano pessime, aggravate anche dalle piene del fiume. Questo stato agevolo, secoli dopo, le operazioni di demolizione di gran parte degli edifici fatiscenti per far posto ai muraglioni di contenimento del Lungotevere.

Ettore Roesler Franz - Via della Fiumara allagata, Ghetto ebraico di Roma
Ettore Roesler Franz – Via della Fiumara allagata, Ghetto ebraico di Roma, su ettoreroeslerfranz.com

Tra le umiliazioni perpetrate vi era anche quella dell’evangelizzazione forzata, ovvero: ogni sabato la comunità ebraica era costretta ad assistere alle funzioni religiose di rito cristiano cattolico, al fine di ottenere la loro conversione. Queste “prediche coatte” erano tenute dai frati domenicani in tre diversi punti: Sant’Angelo in Pescheria, San Gregorio della Divina Pietà e l’Oratorio del Carmelo. Furono volute da Papa Gregorio XIII nel 1572, ma, secondo le fonti, gli ebrei erano soliti tapparsi le orecchie con palline di cera per non dover ascoltare.

Scorcio del Ghetto di Roma con ruderi romani e Sinagoga
Scorcio del Ghetto di Roma con ruderi romani e Sinagoga, foto tratta da civitavecchia.portmobility.it

La riqualifica del Ghetto

Dopo un breve istante di libertà durante la Rivoluzione Francese, successivamente, nel 1825, Papa Leone XII ripristinò le restrizioni del XVI secolo. Solo nel 1848 Papa Pio IX aprì le porte del ghetto, ne ordinò l’abolizione nel 1870 e fece demolire le mura perimetrali nel 1885. Finalmente questa numerosa comunità poté ritenersi libera, riacquistando pari diritti rispetto ai cristiani.

I progetti di riqualifica della città inclusero anche il quartiere ebraico, dove, di fatto, la popolazione ancora risiedeva. L’ex-ghetto era divenuto un ricettacolo di germi e causa di infezioni e malattie, viste le pessime condizioni igieniche e le abitazioni drammaticamente fatiscenti, quindi urgeva una risanamento radicale. Dovendo far spazio alla realizzazione degli attuali muraglioni di contenimento, fu abbattuta buona parte del quartiere, ridisegnandone la distribuzione in quattro grandi blocchi, uno dei quali doveva accogliere la Sinagoga Nuova.

Il nuovo aspetto

Attualmente, l’area del ghetto è quella risalente al 1885, in cui sono scomparsi i vecchi edifici ed i vicoli di passaggio. Per avere un’idea generale di come apparisse in precedenza, è possibile ammirare i 119 acquerelli realizzati da Ettore Roesler Franz tra il 1878 e il 1896, compresi nella serie “Roma sparita“, di cui 18 dedicati proprio al ghetto. Mentre, gli unici affacci di quello che era l’antico ed autentico agglomerato ebraico sono visibili su Via del Portico di Ottavia (il portico colonnato di epoca romana, utilizzato sai dal Medioevo come mercato del pesce, da cui deriva il nome “Pescheria”), Via della Reginella e Via Sant’Ambrogio.

Portico di Ottavia, ghetto ebraico di Roma
Portico di Ottavia, ghetto ebraico di Roma, foto di defeorestauri.com

Da Via del Portico d’Ottavia parte quello che potremmo definire il Corso principale del ghetto, dove ancora adesso è possibile acquistare prodotti tipici dai numerosi negozietti e provare gli originali piatti della tradizione ebraico-romanesca (alcuni esclusivamente Kosher, come vuole la cultura ebraica), sia dolce che salata. Al numero civico 29 è visitabile la sede espositiva della Fondazione Museo della Shoah, presso Casina dei Vallati, inaugurata al 72simo anniversario del rastrellamento, il 16 ottobre 2015, dove è possibile ripercorrere le vicende di quel terribile momento storico.

Svoltando a destra si prende Via Sant’Ambrogio ed al termine si giunge a Piazza Mattei (dal nome della famiglia cristiana che deteneva le chiavi dei portoni che venivano aperti e chiusi giornalmente), al centro della quale si trova la bronzea Fontana delle tartarughe risalente al 1584, poi in parte modificata dal Bernini nel 1658.

Fontana delle tartarughe - Ghetto di Roma
Fontana delle tartarughe – Ghetto di Roma, foto tratta da civitavecchia.portmobility.it

Proseguendo si imbocca Vicolo Costaguti, dove, sulla sinistra, si può ammirare la casa di Lorenzo Manilio datata 1468, caratterizzata da una lunga iscrizione latina e da altri frammenti archeologici, frutto del reimpiego di reperti romani, quasi a voler attribuire la sua proprietà ai fasti dell’Impero Romano.

Sulla stessa strada è presente il Tempietto semicircolare della Madonna del Carmine, una delle tre chiese scelte per svolgere le “prediche coatte“; inoltre, qui vicino è ancora visibile uno dei pochissimi “trapassi” di derivazione medievale, ovvero delle antiche gallerie che passano da parte a parte attraverso i palazzi per permettere il passaggio.

Tempietto del Carmelo, Roma
Tempietto del Carmelo, Roma, foto di myvisita.it

La Sinagoga Nuova o Tempio Maggiore

Dirigendosi verso il Tevere si incontra l’imponente Sinagoga Nuova o Tempio Maggiore, con la sua inconfondibile cupola a base quadrata, visibile da molti punti della città. Fu realizzata tra il 1901 ed il 1904 dagli architetti Osvaldo Armanni e Vincenzo Costa, con richiami stilistici mediorientali, rivedendo in chiave moderna i tipici luoghi di culto ebraico. Sulla facciata, rigorosamente senza immagini, sono presenti diversi simboli religiosi, come: la Menorah (candelabro a sette braccia), i Lulav (un fascio di vegetazione intrecciata tra loro, formato da una palma al centro, del mirto, del salice ed un cedro, utilizzato durante la preghiera) e le Tavole della Legge (Torah), con frasi incise prese dai testi sacri.

Sinagoga di Roma
Sinagoga di Roma, tratta da beniculturalionline.it

Nello stesso edificio, nel 1960, venne inaugurato il Museo Ebraico, in cui sono conservati diversi oggetti della comunità, della sua storia e del proprio culto.

La Sinagoga fu anche il deposito di tutti i beni preziosi che ogni famiglia ebraica venne costretta a consegnare per avere salva la vita, così come aveva richiesto, per un totale di 50 kg, il Comandante della Gestapo di Roma, Herbert Kappler, per non avviare lo sgombero del ghetto.  Purtroppo la raccolta fu vana, in quanto l’ufficiale delle SS non mantenne l’accordo ed il 16 ottobre 1943 diede ordine a 364 dei suoi uomini di iniziare le operazioni del tragico rastrellamento della comunità.

Il rastrellamento del Ghetto ebraico di Roma

Dalle 05:30 alle 14:00 le truppe tedesche della Gestapo avviarono la retata di 1259 persone (689 donne, 363 uomini e 207 bambini/e), poi scesi a 1023 (alcuni erano cristiani che erroneamente si trovarono nel ghetto, oppure risultarono di sangue misto), tutti radunati presso il Portico di Ottavia e condotti in direzione della stazione Tiburtina, dove sarebbero stati deportati verso il campo di sterminio di Auschwitz. Dopo quattro giorni di viaggio, stipati in 18 carri bestiame, giunsero al campo, dove 820 di loro vennero condotti alle docce per la soppressione, mentre gli altri 154 uomini e 47 donne furono destinati ai lavori forzati.

 

Targa commemorativa del rastrellamento del ghetto di Roma
Targa commemorativa del rastrellamento del ghetto di Roma, foto di rerumromanorum.com

Solo 16 individui riuscirono a tornare a Roma da quell’inferno, tra cui 15 uomini ed 1 sola donna, Settimia Spizzichino, venuta poi a mancare il 3 luglio 2000. Con la scomparsa di Lello Di Segni, il 26 ottobre 2018, ci lascia l’ultimo testimone di quel terribile rastrellamento. 

Complessivamente gli ebrei deportati residenti sul territorio romano furono 2091, di cui tornati a casa solo 73 uomini, 28 donne e nessun bambino.

L’iniziativa delle “Pietre d’inciampo”

Dal 1992, l’artista tedesco Gunter Demnig ha ideato la lodevole iniziativa delle cosiddette “pietre d’inciampo“, l’ovvero l’azione di porre una lastra d’ottone, delle misure di un sampietrino, nel manto stradale, davanti alle abitazioni dei deportati o davanti ai luoghi di prigionia, su cui vi è inciso il nome della vittima, la data di nascita, il campo di deportazione e la data di morte. L’intero territorio del Comune di Roma, compreso naturalmente il ghetto ebraico, conta ad oggi 330 pietre d’inciampo poste ad imperitura memoria.

Roma, pietre di inciampo - famiglia Di Consiglio
Roma, pietre di inciampo – famiglia Di Consiglio, foto di romah24.com

Attualmente il ghetto ebraico di Roma si presenta nella sua veste moderna, con poche tracce anteriori ai rifacimenti della fine dell’800, ma racchiude in sé tutta la stratigrafia della sua lunga, complessa e straziante storia. Visitare le sue strade impone rispetto ed apertura verso una comunità così segnata dal passato che, altro non è, se non il nostro stesso passato e la storia che accomuna tutti noi.

Per chi volesse conoscere maggiori dettagli del quartiere ebraico, nonché percorrere fisicamente ogni vicolo, assaporando i suoi angoli intrisi di storia, vi segnaliamo questo Tour del Ghetto Ebraico.